Quando parliamo della famosa regola delle “quattro P” tutti tendiamo a collegarle ai concetti di marketing di Kotler o di altri analisti del settore.
Esiste però una versione alternativa della storia, dove il marketing ha un ruolo piuttosto marginale, o per meglio dire diluito in un concetto molto più ampio che riguarda più in generale la cultura aziendale. In questo scenario, le quattro P sono quelle relative al Change Management, e cioè a tutte quelle regole e quei processi che veicolano la dinamica di passaggio fra un determinato assetto dell’azienda alla sua versione successiva. Il Change Management è qualcosa con cui fare i conti quando in azienda subentra un’innovazione dal forte impatto, quando cambiano le persone che ricoprono certi ruoli, quando affrontiamo un passaggio generazionale. E, non da ultimo, riguarda sia la sfera dei collaboratori che dei clienti.
E allora perché parlo di cultura aziendale?
Perché essa è il principale argomento che riguarda tanto chi lavora in azienda quanto i suoi clienti. Entrambi, infatti, risentono della cultura aziendale e quindi è bene pensare con cura ai suoi principi e capisaldi, perché molto difficilmente potremo tornare sui nostri passi una volta stabiliti i concetti base.
E tra quei concetti base, un ruolo fondamentale ce l’hanno appunto le quattro P.
Oggi ne affronteremo due, che sono Place (“Luogo”) e People (“Gente”).
Cominciamo da quest’ultimo. Generalmente si tende a credere che “people” si traduca con “persone”, ma in realtà nella nostra visione questo concetto è ampiamente superato. “Persone” sottintende una forma di individualità degli esseri umani (in questo caso: dipendenti o clienti) che come tali hanno valore nella loro singolarità.
Io preferisco tornare invece a una tradizione più letterale: “gente”.
Gente è un termine singolare, certo, che però si riferisce alla pluralità delle persone e questo rende il concetto molto più vicino alla cultura di cui parlo. Le persone, nella loro accezione aggregata e aggregativa, sono fondamentali nel paradigma del nuovo marketing e dunque della cultura aziendale. L’interesse di un imprenditore oggi deve essere non soltanto per gli interessi e le richieste dei suoi clienti (e dei suoi dipendenti, in verità) ma anche e soprattutto verso i loro desideri più ardenti, le loro esigenze radicali, il loro “sentire” più profondo.
Chiediti come mai alcune imprese abbiano così a cuore l’attenzione per i dettagli all’interno della sede della propria azienda: ne parleremo approfonditamente nello step che riguarda la p di “Place”, ma vale la pena ricordare adesso che il luogo è prima di tutto il mezzo più tangibile in cui il dipendente di un’impresa consuma la sua esperienza di lavoro, e come tale è importante che lo metta nelle condizioni migliori possibili per essere non solo efficace e produttivo, ma anche sereno e felice. La serenità è un aspetto importante nella nostra visione, perché crediamo fermamente nella non necessità di creare un clima tossico e competitivo in azienda al fine di rendere i dipendenti più produttivi. Questo è uno schema che appartiene al passato ed è uno schema che ha fallito. Poteva funzionare negli anni Ottanta, ma oggi ha fallito.
Oggi le persone coltivano un maggior rispetto di se stesse (per fortuna), una maggiore consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie priorità (meno male) e il compito di un imprenditore non è mettere a tacere certe spinte bollandole come “velleità”, ma anzi coltivarle, capirle e agevolarle.
Anche lato cliente vale lo stesso discorso. In un mercato iper-competitivo è impensabile credere che per avere successo basti avere un prodotto che risponde alle esigenze del cliente.
Là fuori è PIENO di prodotti che rispondo alle esigenze del cliente. Sul serio, in qualsiasi ambito ci sono almeno dieci varianti di un prodotto o un servizio per ogni singolo bisogno dell’essere umano.
Vien da sè che un’azienda “intelligente” oggi sia obbligata a fare una riflessione molto più profonda sul proprio cliente target, un’analisi che faccia emergere, più che la “richiesta” delle persone, ciò che c’è dietro: il vissuto, le frustrazioni, i desideri nascosti, le paure, le esaltazioni e i pensieri del cliente target.
Solo uno “scan” di questo tipo è in grado di segmentare il prodotto e offrirne una versione davvero personalizzata, davvero rispondente alle sue esigenze in modo profondo e soprattutto maggiore rispetto a tutti gli altri competitor.
Tornando al sommario dell’articolo, insieme a “People” ha grande importanza anche la p di “Place”, il luogo.
Lo abbiamo accennato prima, il luogo in termini commerciali può essere considerato come l’ambiente in cui il cliente, da una parte, o il dipendente, dall’altra, consumano una specifica esperienza. Una sarà quella di acquisto, l’altra sarà quella di lavoro.
In termini pratici cambia la fisionomia dei luoghi ma non il loro obiettivo, che è quello di fornire emozioni positive e coltivare i pensieri più alti di chi lo vive.
Pensiamo al lato dipendenti, e dunque a quello che un imprenditore può fare per i propri lavoratori: creare un ambiente privo di muri, magari un open-space o un divided-space con vetri anziché tramezzi, aiuta a pensare al proprio spazio di lavoro come un luogo in “comune” con gli altri, dove dunque non esistono reali distinzioni se non quelle legate alla propria unicità. Gli obiettivi, le ambizioni e i progetti dell’azienda sono gli stessi per tutti e anche la location lavorativa deve suggerirlo. Questo aiuta a creare la famosa “coesione”, importante tanto quanto l’aggregazione di cui parlavamo prima (anzi, probabilmente ne è la diretta conseguenza).
Gli ambienti ben pensati in una sede di lavoro aiutano anche ad abbattere alcuni preconcetti inconsci, legati alle paure e alle frustrazioni di chi potrebbe danneggiarci a vantaggio del proprio percorso professionale. Il tema deve essere esattamente l’opposto: non ci sono corsie preferenziali per il successo e il successo non passa per una persona sola, ma è un traguardo collettivo a cui tutti siamo chiamati (e tenuti) a partecipare.
Lo stesso discorso, seppur con le dovute differenze, vale lato cliente: nel suo caso il “luogo” che un’azienda intelligente è tenuta a creargli intorno spesse volte non è fisico, bensì virtuale. Pensiamo agli strumenti di aggregazione che i brand pensano per i clienti: le fidelity card, i club, gli eventi virtuali o dal vivo, tutte soluzioni atte a coinvolgere un cliente in un concetto che poco c’entra col prodotto in sé, ma riguarda soprattutto i valori condivisi.
Ecco, il “luogo”, da qualunque lato la si guardi, deve essere costruito per fare in modo che chi lo vive percepisca quei valori condivisi e li faccia propri. Questa potrebbe essere una sintesi della seconda “P” (e in fondo anche della prima).