La fine del periodo natalizio ha sempre qualcosa di malinconico.
Gli addobbi vengono tolti, le case iniziano a “svuotarsi” dei numerosi parenti che fino a qualche giorno popolavano ogni stanza dell’appartamento, il cibo torna ad essere servito in quantità “umane”.
Tutto normale, si torna alla routine, ed è normale che questo porti con sé un po’ di tristezza.
Però in fondo il bello delle feste è anche questo no? Il fatto che abbiano un tempo definito. È la ragione per cui sono speciali.
Altrettanto normale che, al termine delle festività, anche la coda dell’entusiasmo tenderà a scemare piuttosto rapidamente.
Questo saliscendi emotivo mi ricorda molto una particolare situazione aziendale su cui vorrei spendere due parole: gli affari andati a buon fine.
Ogni azienda, dalle PMI ai brand globali, nella sua vita commerciale vive diverse fasi. Ci sono le fasi in cui il mercato premia le scelte e altre in cui le penalizza, fasi di “galleggiamento” e frasi caratterizzate da grande dinamismo. Tutto normale, anche qui. È la vita stessa dell’azienda ad essere “volatile”, nel senso più puro del termine.
Quando però un’azienda chiude un affare particolarmente importante, come il lancio di un prodotto/servizio apprezzatissimo oppure un’eco pubblicitaria inaspettatamente massiccia, si attuano dinamiche specifiche che interessano prevalentemente la psicologia dei membri dell’organizzazione.
Tornando al parallelismo con le festività, anche un buon affare genera lo stesso tipo di reazione: entusiasmo.
Il successo aziendale crea euforia, aumenta l’ottimismo, stimola la produttività. I dipendenti percepiscono il vento a favore e lavorano in modo più sereno, i dirigenti guardano al futuro con ottimismo, gli investitori gioiscono e gli imprenditori pianificano il futuro.
Anche l’appeal dell’azienda, vista dall’esterno, aumenta. Molte più persone inviano curriculum per lavorarci e questo può essere il primo step di una crescita maggiore per tutta la struttura.
Questi avvenimenti sembrano improbabili ma non è così: chiaramente il livello di “successo” può essere diverso da azienda a azienda in funzione del progetto che l’ha generato, ma la dinamica emotiva è sempre la stessa.
Il problema dei traguardi commerciali, però, è che finiscono.
Esattamente come le feste natalizie.
La curva di vendita comincia ad assestarsi.
La notorietà del brand si attesta a un livello più simile alla condizione precedente.
Quel clima di “euforia” inizia a svanire a beneficio delle normali attività dell’azienda.
Per chiarire il punto, vediamo di fare un piccolo esempio: immaginiamo un’azienda che si occupa di produzione e distribuzione di pasta.
Per comodità, pensiamo a questa azienda come a una realtà inizialmente locale che negli anni novanta ha sviluppato a sufficienza per essere presente, seppur non in tutta la nazione, certamente in un buon numero di regioni.
Il marchio, insomma, è conosciuto ma non conosciutissimo.
Le prospettive di crescita sono ancora molto ampie e la competitività del settore fa si che la crescita sia piuttosto lenta. A questo corrisponde un approccio al lavoro piuttosto routinario per i dipendenti, senza particolari “picchi”.
Poi succede un evento inatteso: l’ultima campagna pubblicitaria ha un riflesso social particolarmente importante, il pubblico apprezza la scelta comunicativa e improvvisamente molte più persone di prima vengono a conoscenza dell’esistenza di questo marchio di pasta.
Comincia a parlarne anche qualche giornale locale, e poi anche alcune testate nazionali.
Le vendite ne risentono in positivo e il fatturato bissa l’anno precedente già nel primo trimestre, con prospettive chiaramente rosee.
È chiaro che imprenditorialmente si tratta di una situazione anomala, e come tale destinata a rientrare. Certo, alla fine dell’ iperbole l’azienda avrà un bacino di clientela più ampio di prima ma come per tutte le cose i vertici del grafico saranno solo temporanei.
Il problema inizia proprio qui, quando cioè il “momento d’oro” finisce e bisogna fronteggiare il contraccolpo.
Qualcuno, all’interno dell’azienda, potrebbe risentire della fine del “sogno”.
C’è chi magari pensava che sarebbe durata per sempre, o chi ripensa, con malinconia, ai giorni in cui il telefono non smetteva di squillare.
Qui l’imprenditore è chiamato ad agire per evitare che accada questo, perché il contraccolpo dell’entusiasmo può essere un problema: i collaboratori potrebbero lavorare con meno ottimismo e la produzione ne risentirebbe; il team del marketing potrebbe pensare che non creerà mai più una campagna così profittevole, e inizierebbe a lavorare senza serenità.
Eccetera eccetera.
Cosa fare in questi casi?
Il mio consiglio è sempre quello di pensare in proiezione futura, sfruttando gli eventi a nostro favore.
Questo è infatti il momento perfetto per riunire tutto lo staff e congratularsi per i recenti successi, mostrandosi assolutamente sereni rispetto al fatto che la curva di crescita si sia fermata e, anzi, mostrare al gruppo quanto questo sia un bene.
Questo può essere infatti il momento della riflessione, aiutando i dipendenti a proiettarsi al successo futuro, a focalizzarsi su cosa è andato bene per replicarlo, ad aprire un canale di comunicazione con la dirigenza per portare feedback e migliorare ulteriormente i processi interni.
Insomma, se fosse la fine delle feste natalizie, la “terapia” sarebbe quella di proiettarsi alle prossime festività, e iniziare a pensare a come creare altri bellissimi momenti felici.
Perché in fondo un’azienda è questo: una continua corsa, fra alti e bassi, verso i picchi di soddisfazione maggiori possibili.
Buon lavoro a tutti per questo fantastico 2023.