Quando pensiamo alle “catene”, dal punto di vista imprenditoriale, siamo abituati a riferirci alla ben nota catena di comando, ossia alla linea gerarchica che determina il passaggio delle informazioni e delle decisioni di un’impresa.
La catena di comando è fondamentale in tutte le aziende, soprattutto quelle maggiormente strutturate, ove la complessità dei reparti richiede chiarezza decisionale e referenti facilmente identificabili.
Tuttavia in questo articolo mi piacerebbe parlare di tutt’altro tipo di catena, che amo definire “catena di collaborazione”.
La collaborazione è un aspetto altrettanto determinante nella riuscita di un progetto imprenditoriale. Come abbiamo ribadito spesso, infatti, nessun successo di rilievo può essere raggiunto senza un valido supporto reciproco fra coloro che lavorano al suo conseguimento.
Inutile tornare sull’ovvio: i successi personali sono destinati a una dimensione sempre inferiore rispetto a quelli frutto del lavoro di gruppo.
Il gruppo non è altro che il team dell’impresa, all’interno del quale ognuno mette a disposizione le proprie migliori competenze, differenti nella loro unicità e dunque preziose.
Vi sarà sempre, certo, qualcuno che dovrà coordinare questa commistione di expertise, ma resta il fatto che saranno determinanti le cifre qualitative di ognuno. Siamo tutti egualmente importanti all’interno di un’ambizione ed è bene che questo sia ben presente nella mente di tutti i dipendenti di un’impresa.
A tal proposito tuttavia desidero fare una specifica. Ho parlato di “collaborazione” e non di “catena di collaborazione” per un motivo preciso. Ossia che sono due cose molto diverse fra loro.
La collaborazione è quella di cui abbiamo parlato sopra, quindi lo spirito sinergico con cui ognuno depone le sue competenze sul tavolo e fornisce il suo contributo al “goal” prefissato.
È qualcosa che quindi avviene in parallelo, si potrebbe dire.
La “catena di collaborazione”, invece, è quella dinamica che interessa persone diverse che lavorano in sequenza anziché in contemporanea. Molti task infatti non richiedono l’utilizzo di competenze parallele. Un copywriter non scrive in parallelo al grafico che impagina. Il copywriter scrive, e poi il grafico impagina. Entrambi parteciperanno al briefing, certo, in modo che ognuno possa dare il suo contributo per migliorare l’idea portando il proprio punto di vista ma, una volta stabiliti gli obiettivi, c’è chi svolgerà il lavoro prima e chi lo svolgerà dopo.
Questa successione temporale prevede dunque un passaggio del testimone del lavoro, che viene processato e trasformato da chi ci lavorerà dopo di noi. Una catena, insomma.
La catena di collaborazione è importante perché, secondo i principi del Metodo I.O.I., ci vincola a una forma di eccellenza anche in funzione di come consegneremo il lavoro a chi verrà dopo di noi.
Se sono un direttore marketing e devo istruire il mio reparto alla realizzazione della campagna pubblicitaria, dovrà essere mia cura non solo spiegare adeguatamente le mie intenzioni, ma mettere in atto tutto ciò che mi è possibile fare per fornire le giuste indicazioni a chi lavorerà dopo di me.
Sarebbe opportuno magari fare una riunione in più, o affiancare un grafico al testo per renderlo maggiormente comprensibile, o fornire a tutto il team un “video-tutorial” da poter rivedere in caso di dubbi.
Lasciare un “lavoro fatto bene” agli altri non è soltanto la strada migliore per raggiungere successi più grandi, ma anche una forma imprenditorialmente accettabile di “amore” per il prossimo.
Prescindendo da tutto, dobbiamo avere cura di chi lavora insieme a noi. Dobbiamo metterli nelle migliori condizioni possibili di svolgere agevolmente il loro ruolo. Di più, se possiamo, dovremmo facilitargli il compito.
Da questo punto di vista la realizzazione della catena di collaborazione non è qualcosa di molto diverso dal concetto di “regalo”.
Quando facciamo un dono a qualcuno, lo facciamo nella speranza di regalargli una forma di felicità. È la nostra mente a decidere il regalo ma è il cuore che ci spinge a farlo.
Questo mi porta inevitabilmente a ripensare al concetto di Agapè, l’amore incondizionato, a me estremamente caro.
Anche consegnare un lavoro ben fatto al proprio collega è una forma di amore incondizionato, nella misura in cui lo facciamo perché sarà lui/lei a trarne un giovamento, ancor prima dell’azienda.
Pensiamoci: è qualcosa di piccolo che però cambia tutto. È capire che 1 +1 non fa 2, ma 3.
Siamo lontani da una realtà del genere? Forse. Ma almeno siamo un “post” avanti rispetto a ieri.