In questi giorni si parla molto del professore universitario di Parma che, nel corso di un’intervista, ha spiegato quelle che a suo dire sono le vere origini della carbonara (ma anche del parmigiano, del tiramisù, del panettone…).
Tesi per molti considerate “fantasiose” e prive di un reale fondamento storico. Non mi addentro nella questione (vi invito tuttavia, se non ne avete già letto, a fare una piccola ricerca su Google a riguardo), quello su cui voglio concentrarmi è una dinamica curiosa che si innesca sistematicamente quando si mette in qualche modo in dubbio il concetto di Made in Italy: la controversia.
L’eccellenza italiana, soprattutto in ambito culinario ma in realtà in molti altri settori produttivi, è di fatto uno dei principali asset economici della nostra nazione nonché motivo di lustro e riconoscimento all’estero da un numero imprecisato di secoli.
Il nostro, se vogliamo piccolo rispetto agli altri, Paese ha fatto dunque della qualità nella realizzazione di alcuni prodotti il principale motivo di vanto, la leva primaria di esportazione e dunque in qualche modo la formula identitaria eletta rispetto a chi guarda a noi dall’esterno.
Tutto questo è legato a diverse ragioni, dove la qualità del prodotto (e, spesso, anche il processo stesso di lavorazione) sono al primo posto ma non sono l’unica ragione per cui nei confini nazionali cerchiamo in tutti i modi di “proteggere” il nostro operato. Le motivazioni sono anche economiche: intorno all’esportazione del Made in Italy ruota una quota percentuale piuttosto rilevante del nostro PIL.
E poi c’è il discorso identitario: come italiani siamo enormemente orgogliosi delle nostre eccellenze, e ne siamo anche molto, molto gelosi.
La piaga del falso Made in Italy è qualcosa con cui combattiamo da tempo: prodotti realizzati all’estero con piccole accortezze che, attraverso una comunicazione mirata e fuorviante, fanno credere al cliente di essere prodotti 100% italiani.
Con buona pace della nostra faticosa tradizione.
Il falso Made in Italy genera un indotto paragonabile a quello vero quindi è comprensibile che il Paese metta in pratica tutte le azioni possibili per contrastarlo.
E comunque, torno a ripetere, il motivo principale per cui ogni qual volta viene minata la nostra tradizione si solleva un vespaio è che, bisogna ammetterlo, ne siamo enormemente gelosi.
Questa è una dinamica che trovo romantica e positiva, perché anzitutto tutela la nostra storia e le nostre aziende che con grandi sacrifici, anche economici, cercano di mantenere quello standard che l’eccellenza di cui siamo portavoce prevede, e inoltre perché credo che da essa possiamo trarre un grande insegnamento.
Quello che penso è che dovremmo trattare la nostra azienda come se fosse un infinito Made in Italy. Dovremmo quindi difendere i principi che la muovono e i sogni che caratterizzano i nostri obiettivi, perseguire costantemente l’eccellenza qualitativa propria del prodotto o servizio che realizziamo/distribuiamo, e soprattutto dovremmo essere bravi a contrastare la “concorrenza” nel momento in cui essa cerca di delegittimare il nostro lavoro.
Questo è un aspetto piuttosto tipico nella logica dei mercati: molto spesso aziende concorrenti utilizzano sistemi comunicativi volti a far pensare al cliente che il nostro prodotto sia inferiore al loro, o sia qualcosa di diverso da quello che promettiamo. Si tratta di sottigliezze di marketing che tuttavia possono ingenerare confusione nel cliente e quindi erodere piccole quote del nostro mercato.
Più cresciamo come impresa e più dobbiamo essere preparati a rispondere a questi attacchi. Rispondere ovviamente non significa attaccare a nostra volta, non avrebbe senso e ci porterebbe sul territorio preferito degli “avversari”. Per scongiurare questo problema dobbiamo semplicemente essere bravi a riconfermare la nostra posizione sul mercato e i nostri valori. In poche parole, fare “branding” è l’attività principale dell’imprenditore che desidera mantenere intatto il valore del proprio prodotto e la percezione che il cliente ne ha all’esterno.
Il Made in Italy si basa proprio su questo: continuare a produrre beni di eccellenza e contemporaneamente comunicarne il valore attraverso una narrativa costante e coerente.
Se saremo in grado di farlo come imprenditori, avremo successo individualmente e soprattutto aziendalmente.