Da una manciata di ore hanno avuto inizio i mondiali di calcio 2022 in Qatar. Evento eccezionale per molti motivi, a cominciare dall’esordio della nazione mediorientale tra i paesi ospitanti, e soprattutto per via delle tempistiche: è in effetti il primo mondiale che viene giocato in inverno, e non in estate dopo che sono terminati i vari campionati, con conseguente stop inedito per tutti i tornei nazionali.
Il mondiale in Qatar porta con sé un numero infinito di polemiche, per via di dinamiche legate ai diritti umani, alle condizioni dei lavoratori e molto altro.
Te lo dico subito: non intendo parlare di questo. Non è questa la sede e non sono sicuro nemmeno di avere le giuste competenze per affrontare il discorso in un blogpost come vorrei.
Ciò di cui vorrei parlare, in relazione ai mondiali, è quello che essi trasmettono alle persone a titolo generale. Che si tratti infatti del Qatar di quest’anno, o della Francia di 24 anni fa, passando per tutti quelli in mezzo, una manifestazione come i mondiali richiama inevitabilmente l’attenzione di tutto il mondo.
La cosa interessante è che quell’attenzione non proviene soltanto dagli appassionati di calcio. Mai come in occasione dei mondiali il pubblico che si raduna intorno all’evento è più in generale un pubblico appassionato di sport nel suo complesso, se non addirittura lontano da queste logiche ma che, considerata la portata e l’eccezionalità della cosa, si incuriosiscono e si appassionano alle vicende delle squadre in gara.
Accade anche stavolta e accade nonostante tutte le polemiche.
Ho cercato di riflettere su questo spasmodico interesse trasversale, sul riverbero che ha dal punto di vista mediatico e su come diventi protagonista di conversazioni tanto nei salotti televisivi quanto in quelli di casa nostra, e ho capito che, in fondo, il motivo può essere qualcosa che non ha esattamente a che fare con lo sport ma con le persone in generale.
Di manifestazioni sportive internazionali ce ne sono molte, è chiaro, ma sarà perché il calcio è uno sport mediamente molto diffuso, che quindi permea la cultura popolare da sempre (oggi anche in paesi storicamente lontani da esso, come gli USA), le reazioni delle persone ritengo siano uniche nel loro genere e non ne ritroviamo di simili per altre discipline (se non nelle Olimpiadi che, appunto, le racchiude tutte).
La ragione sottostante, dicevo, credo sia strettamente connessa all’energia che eventi come il mondiale trasmettono. Probabilmente è qualcosa che attiene alla sfera delle emozioni, ossia la sensazione di partecipare a una cosa “grande”, che ha luogo in momenti storici precisi (ogni quattro anni, nello specifico), qualcosa quindi di speciale che vale la pena seguire per la sua irripetibilità.
Oltre a quello, c’è il prestigio del contesto: nazioni tanto diverse fra loro che, per una volta, cooperano alla realizzazione di uno spettacolo globale e allo stesso tempo si sfidano per vedere chi sarà il vincitore. Quindi ci sono tutti gli elementi di un successo: la specialità, la portata, la grandezza, il prestigio, l’importanza di chi vi partecipa.
In più, c’è quello che io chiamo il “fattore X”: la comunicazione.
Ogni edizione dei mondiali è affiancata da una campagna di comunicazione pressante che insiste sull’intera durata dell’evento, più il “pre-lancio” nelle settimane (se non mesi) precedenti all’inaugurazione e fino alle successive settimane in cui si commentano i momenti salienti e le gesta di vincitori e vinti.
Ecco, la portata comunicativa trovo giochi un ruolo determinante per un contesto che, altrimenti, sarebbe soltanto una manifestazione sportiva come in fondo ce ne sono molte altre, e l’avvicendarsi delle epoche non può che aumentare il peso specifico di questo fattore: l’incremento dell’offerta televisiva, il web e i servizi on-demand accrescono infatti l’attesa e soddisfano il desiderio di fruizione dei contenuti da parte di chi desidera vivere un’esperienza immersiva come lo spettacolo mondiale.
Questo genera ovviamente un cambiamento anche dal punto di vista dell’offerta, nel senso che non è solo il prodotto a determinare la comunicazione ma anche il contrario: la comunicazione determina il prodotto.
Grazie all’aumento dei servizi online è quindi possibile godersi interviste speciali, contenuti esclusivi per abbonati o iscritti a specifiche mailing list, review delle partite di cartello, approfondimenti dagli spogliatoi e dai campi di allenamento, focus collaterali come i documentari sulla costruzione dei nuovi stadi e quant’altro.
Tutto questo, perché le piattaforme digitali lo consentono, oggi, e non lo consentivano tanti anni fa.
Ho quindi immaginato come questa dinamica abbia una qualche relazione con la realtà quotidiana delle imprese, e mi sono reso conto che non c’è nulla di diverso.
Nelle aziende, così come nei mondiali di calcio, la comunicazione è tutto. Saper condividere l’importanza di quello che facciamo, il motivo per cui lavoriamo, gli obiettivi prefissati e i traguardi che intendiamo raggiungere, è fondamentale per la coesione del gruppo di persone che lavora con noi. Le aiuta a sentirsi parte di un progetto importante, e rilevante proprio come un evento sportivo che si tiene ogni quattro anni.
Anche verso l’esterno otteniamo lo stesso risultato, condividere e “lanciare” costantemente il nostro lavoro, i nostri prodotti, i servizi che offriamo, sono tutte azioni che ingaggiano la clientela e la rendono più consapevole della nostra idea di azienda. Il sentirsi partecipi, ricordiamolo sempre, non è qualcosa che riguarda solo i collaboratori. Anche i clienti vogliono sentirsi parte di qualcosa.
Coloro che seguono i mondiali di calcio si sentono parte di qualcosa di importante, anche se si limitano a guardarli dal divano, ed è questa sensazione che li spinge ad acquistare abbonamenti e servizi aggiuntivi che incrementano “l’esperienza Mondiale”.
Piccole cose che tuttavia ogni imprenditore non dovrebbe mai dimenticare.