Leggendo le prime pagine dei giornali è piuttosto raro che non ci si imbatta in notizie legate alla detenzione di criminali, al fine-pena di chi ha già scontato il proprio debito, oppure a disamine legali relative a delitti sui quali il giornalista di turno ipotizza lo scenario processuale in termini di detenzione dell’accusato.
Insomma, per un motivo o per un altro la nostra società ha ben chiaro il concetto di “punizione”.
Andiamo ad approfondire questo concetto che riguarda l’ambito legale solo in parte, ma ci arriviamo.
Il concetto di punizione sta a valle nel nostro ordinamento giuridico. In altre parole, l’apparato legislativo della stragrande maggioranza dei paesi del mondo si basa sullo spauracchio della sanzione, o più in generale della punizione appunto, cui si va incontro in caso di infrazione.
La nostra società si basa sulla paura quindi? Non proprio, non direi. Certamente il timore può prevalere quando le conseguenze di un illecito non grave si riferiscono a pene importanti, ma in linea generale sono più che certo che ciò che frena le persone non sia tanto la punizione quanto il voler tendere al bene piuttosto che al male.
Tolto questo, ovviamente, l’ipotesi di veder privata la propria libertà o confiscati i propri beni resta certamente un ottimo deterrente.
A tal proposito si individua una dinamica curiosa: la punizione è fondamentale per l’andamento sociale esterno ai fatti. Mi spiego: quando leggiamo di un illecito, prescindendo dalla sua gravità, ci aspettiamo che il colpevole ne paghi le conseguenze, che venga punito, quindi.
Questo ci avvicina a quel concetto di giustizia così difficile da isolare, ma che ci sembra particolarmente presente quando a un reato corrisponde una pena.
In altre parole si potrebbe dire che la punizione serva quasi più alla società che ai colpevoli stessi, e purtroppo spesso è davvero così: non è raro che le cronache portino alla ribalta i deficit delle strutture carcerarie per esempio, o le carenze nei programmi di rieducazione e riabilitazione di coloro i quali, in galera, ci finiscono davvero.
E per quanto si possa essere d’accordo o non d’accordo, resta palese che la ricollocazione sociale dovrebbe essere il primo scopo della punizione. Non punire per il solo fine di farlo quindi, ma elargire una pena per giustizia, per deterrente, e nella speranza di restituire – un domani – un individuo riabilitato a fronte del criminale che aveva fatto ingresso in cella.
Certo, anche a queste dinamiche occorrerebbe associare specifiche di ogni genere, eccezioni che riguardano specifici contesti, pene detentive di maggior rilievo e quant’altro. Sia chiaro quindi: vuole essere un discorso di principio e non fattuale.
Quello che realmente mi interessava sottoporre ai lettori di questo argomento è quanto possa essere utile perpetrare il concetto di punizione all’interno di un micro-sistema diverso, come per esempio quello aziendale.
A ben pensarci anche questo accade spesso: le imprese sono solite caldeggiare l’osservanza delle regole e delle procedure paventando ipotesi punitive in caso di mancata osservazione. Parliamo di detrazioni dallo stipendio, multe, fino allo spettro del licenziamento.
Quanto funziona questo sistema in un’impresa? Nel breve termine molto. Nel medio e lungo termine già non funziona più, perché le persone tendono – comprensibilmente – a stancarsi molto presto di un clima lavorativo “terrorizzante”.
Quanto è utile nell’economia di un’impresa? Pochissimo, anche nel breve termine. Perché il concetto che molti imprenditori fanno fatica a comprendere è che il clima positivo di osservanza dei regolamenti non passa per la paura, ma per la condivisione. Un dipendente non deve lavorare bene per paura di perdere il lavoro, ma perché crede nei principi che regolano l’azienda, crede nei valori del suo titolare, e soprattutto crede nel fatto che fare un buon lavoro generi vantaggi per la propria impresa e per i propri colleghi.
Mi concentro spesso su questi concetti perché di fatto è ciò in cui credo di più: il potere della condivisione è inarrestabile e rende del tutto non necessario ventilare ipotesi punitive per ottenere i risultati richiesti.
Inoltre è bene ricordare che le punizioni generano malcontento silenzioso, perché sono storicamente difficili da gestire: creano malumori, spingono le persone a valutare il metro di giudizio nei vari casi, invitano anche inconsciamente a ritenere la propria azienda “ingiusta”.
Tutti retropensieri che un buon datore di lavoro dovrebbe evitare per quanto possibile, creando tutti i presupposti per un ambiente positivo e armonioso all’interno del posto di lavoro.
Alla prossima