Passaggio, consegne, cambio, chiamalo come vuoi: il momento in cui una generazione subentra alla precedente nella guida di un’azienda è sempre estremamente delicato.
Ne abbiamo parlato spesso in passato, essendo un tema fondamentale per la nostra filosofia, ma stavolta vorrei focalizzarmi su un aspetto di questo processo a volte meno considerato, se vogliamo più “emotivo” o, ancor meglio, più “lungimirante”: la quota successione nel concetto di passaggio generazionale.
Quando il titolare dell’azienda decide di abdicare, mettersi da parte, cedere le redini ai figli, nipoti, o comunque figure legate a una generazione a lui successiva, accadono molte cose.
Succede che si faccia fatica, che non si riesca davvero a delegare, a capire quale modalità adottare, a mettere in pratica quanto previsto dalla pianificazione del passaggio.
Il blocco principale non è mai operativo, ma sempre emotivo.
C’è la paura di cambiare, di non avere più il controllo della propria “creatura”, ma anche il timore che i dipendenti e i fornitori possano risentirne e di conseguenza possa risentirne l’azienda.
Non è quasi mai una questione di scarsa fiducia nella generazione successiva, non in senso letterale. È più timore, misto a una umana e comprensibile volontà di proseguire sulla strada che si è percorsa per così tanti anni.
In frangenti come questi, dovremmo pensare alla successione.
Cos’è la successione? È proseguimento, evoluzione, nonché garanzia di continuità. Nonché la componente principale di un passaggio generazionale.
“Succedere” è quindi di fatto allungare la vita dell’azienda foraggiandola con nuove idee, un nuovo approccio magari, una “freschezza” che inevitabilmente nel tempo si perde senza un apporto di innovazione.
In buona sostanza cedere le consegne è l’unica speranza che possiamo dare alla nostra azienda di sopravvivere.
Non solo, anche ragionando unicamente sulla componente umana, non possiamo far prescindere questo ragionamento dal beneficio che le nuove leve traggono da un processo del genere.
Non possiamo non riflettere sul fatto che, tolto ogni discorso imprenditoriale, l’unica ragione per cui tutti noi imprenditori facciamo quello che facciamo sono “i nostri figli”.
E lo dico in senso lato, inteso come le persone che ci succederanno, che fisicamente saranno qui dopo di noi.
Un’impresa è una realtà che costruiamo a beneficio, sì, di noi stessi ma soprattutto per consegnare un futuro alle nuove generazioni.
Non è retorica, non credo davvero che lo sia. Si tratta solo di un principio che molto spesso è talmente scontato da essere dimenticato.
Siamo di fatto i fautori del buon esito dei nostri sogni, e dobbiamo essere abbastanza intelligenti da comprendere che non tutti verranno realizzati negli anni in cui noi siamo protagonisti delle nostre aziende.
È un discorso scomodo, un discorso complicato, ma necessario.
Come gruppo, o se vogliamo come categoria commerciale, gli imprenditori che sogno sono di fatto dei nuovi pionieri del futuro, persone con una visione che pensano e agiscono non soltanto animati dai limiti delle loro capacità, delle loro possibilità, del loro tempo in questo mondo.
E questo perché solo così si può essere in grado di lasciare alla generazione successiva un’azienda prospera, non consumata, con un potenziale ancora più alto di quanto non avesse ai suoi albori.
In quest’ottica il passaggio di consegne non è solo uno step necessario, ma la vera e unica ambizione che un imprenditore dovrebbe avere.
Non è già così? Si e no. Certamente molti titolari d’azienda ragionano in questo senso. Ma a mio avviso sono ancora pochi. Tanti di più sono quelli che generano ricchezza per la brama di accumularne, che fanno programmi a breve raggio, che accentrano invece di delegare e che sprecano le opportunità invece di sfruttarle.
Ogni giorno nascono milioni di opportunità, alcune delle quali sono proprio le persone che abiteranno la terra da oggi in poi.
Il mio invito è remare in quella direzione, verso una corretta ed efficace operazione di passaggio quando arriva il momento, e dare nuova speranza al mondo, per quel che ci compete, proprio grazie alla successione.
Alla prossima.